III. Poesia e Oratoria
III
Poesia e oratoria
Premessa alle «Rime scelte» di Gherardo De Angelis.
(Firenze, 1730)
Giambattista Vico al leggitore.
Il signor De Angelis quattro suoi canzonieri, che a lui giovinetto avevano conciliato la stima de’ dotti uomini, ha in buona parte suppressi e, in poca rimastavi, ha migliorati e contornati ad una forma piú luminosa. Lo che certamente, o cortese leggitore, dovratti recar maraviglia: che, non essendo in lui ancora, non diciam raffreddato, ma intiepidito l’ardor dell’invenzione, e invenzion giovanile — il qual, fervendo, rappresenta l’opere troppo conformi all’idee, dalla qual conformazione, e non altronde, nasce il compiacimento, — egli, con senil maturezza di senno, abbia potuto sconoscere tali suoi nobili parti d’ingegno di fresco nati, i quali naturalmente non si sconoscono che per lunga etá dagli autori giá fatti vecchi. Ma cesserai di maravigliartene, se sarai persuaso dell’altezza dell’animo, che è ’l fomento onde s’accende l’estro che debbe infiammare lo stil sublime, con la quale l’autore, disprezzando tutto ciò che suol ammirar il volgo, e ’n conseguenza ogni dottrina o vana o falsa che si appaga sull’ammirazione del volgo, le lodi di essi dotti egli non ha per meta, ma per incentivi o sproni al corso che tiene verso la vera gloria. Maraviglia bensí dovrá cagionarti che egli ha ciò fatto, ove abbia avuto alcun brieve tempo di rallentar l’animo
dagli studi severi e gravi o dalla scienza in divinitá o da’ lavori delle sagre orazioni, le quali, ora da lui recitandosi, tanta lode gli acquistano appresso i saccenti quanta gliene avevano recato le poesie.Perché le cose della nostra teologia, che superano ogni senso ed ogni immaginazione, di troppo spossano la poetica facoltá, la qual allora è piú grande ove piú vivamente sente ed immagina. Ed appo i greci e i latini furono cosí stabilmente divisi e fermi e religiosamente osservati i confini dell’eloquenza e della poesia, che non vi ha pur uno ch’avessevi scritto ed orazioni e poemi; e di Cicerone, che volle osarlo, vennero in tanto discredito, che francamente da Giovenale sono motteggiati «ridenda poëmata». Cagion di ciò ella fu: perché, vivendo esse lingue, e regnando le medesime in repubbliche popolari; e perché la lingua de’ poeti dee esser diversa dalle volgari de’ popoli, onde Ciceron disse «poëtae aliena», o, come meglio altri leggono, «alia lingua loquuntur», per quella eterna propietá uscente dalla natura di essa poesia, ritruovata nella Scienza nuova, ch’ella fu un parlar naturale de’ popoli eroici, i quali fiorirono innanzi di formarsi le lingue volgari: per ciò gli oratori si guardarono a tutto potere di comporre in versi, per timore che nelle dicerie non cadesse loro innavvedutamente di bocca alcuna espressione la quale, perché non volgare, offendesse il popolo, che voleva ben esser informato delle cause le quali si trattavano, e de’ motivi onde doveva piú in una che in altra forma comandarle: per la cui contraria ragione, i poeti erano naturalmente vietati di esercitare l’arte oratoria. Ma, quantunque ora nell’Italia non vi sia tal timore, perché la lingua della prosa oggi è una lingua comune de’ soli dotti e gli Stati vi sono quasi tutti monarchici, ove non ha molto che far l’eloquenza, per ciò che ne avvisa l’autore del dialogo De caussis corruptae eloquentiae, sia egli Quintiliano o Tacito, pur dura tal distinzion di confini, che, tra tutti, appena due vi han lavorato orazioni e poesie egualmente grandi, Giovanni Casa e Giulio Camillo Delminio. Cotal riflessione ti può dare certo argomento, o
leggitore, che ’l nostro valoroso giovane abbia a riuscire anche un grande predicatore.Ciò finora si è detto per quello riguarda l’ingegno, la facoltá e ’l giudizio dell’autore. Mi rimane poco a dire per appruovartene il costume. Egli aveva ciò fatto per tranquillare la coscienza delle sue cognizioni e veder privatamente tutti i suoi componimenti vestiti d’un colore piú conforme di stile. Ma gli amici, i quali sopra il di lui animo, naturalmente gentile ed ossequioso, posson molto e per amicizia e per autoritá, e co’ conforti e co’ prieghi l’hanno spinto che lasciasse di nuovo uscirgli per le stampe. Non è perciò che contengano cose le quali sconvengano al suo presente piú degno stato, e pochissimi componimenti, fatti da lui nella piú fervida etade, pur da sensi onestissimi sono avvivati.
Vivi felice.

