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Giambattista Vico: Opere
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V: L’Autobiografia, Il Carteggi, E Le Poesie Varie
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Footnotes

1 Questa alquanto lunga digressione è una lezione universitaria del Vico a’ giovani, perché sappiano fare scelta ed uso delle scienze per l’eloquenza [Nota che nell’ed. Calogerá è inserita nel testo. Ed.].

2 Questo brano relativo alla metafisica di Platone fu poi inserito dal V., con esplicita citazione dell’Autobiografia, nelle Correzioni, miglioramenti e aggiunte terze alla seconda Scienza nuova (1731), con alcune varianti, tra cui è di qualche importanza la seguente: «... e tutte queste cose le conteniamo dentro di noi, non essendo niuna di quelle che possa sussistere fuori di noi, onde soltanto durano quanto vi tegniamo applicata la nostra mente. Laonde delle veritá eterne, che non son in noi dal corpo, dobbiam intendere esser principio un’idea eterna, che nella sua cognizione, ove voglia, ella cria tutte le cose in tempo e le contiene tutte dentro di sé, e tutte, applicandovi, le conserva» [Ed.].

3 Si veda ora inclusa in questo volume, Carteggio, lettera V [Ed.].

4 Si veda, in questo volume, Carteggio, lettere XII e IX [Ed.].

5 Anche questi elogi sono raccolti ora nel Carteggio, lettere XV, XVI e XVII [Ed.].

6 La lettera del Leclerc ha l’indirizzo italiano: «All’illustrissimo signore e padrone colendissimo il signor Gio. Battista Vico, degnissimo professore in retorica nell’Universitá di Napoli — Napoli», e l’intestazione: «Clarissimo atque eruditissimo viro Ioanni Baptistae Vico s. p. d. Ioannes Clericus». Per la lettera del V., a cui questa del Leclerc risponde cfr. Carteggio, lett. XXIV [Ed.].

7 Segue nella lettera originale: «Oro te, vir doctissime, si ad me rescribere digneris, me doceas an apud vestrates bibliothecas, sive publicas sive privatas lateant aliqui scriptores graeci aut latini, aut certe codices eorum qui iam editi sunt meliores. Fama enim hic invaluit illic etiamnum delitescere, quae nondum lucem viderint aut certe minus castigate edita sint, quae possent ex antiquis codicibus meliora fieri. Quod si ita est, fac, quaeso, vir clarissime, ut rem resciscamus nostrosque homines bona spe exhilaremus cum audient posse ex Italia expectari quod rempublicam litterariam exornet et beet. Ea de re scribo etiam ad reverendum patrem Alfanium, virum litteratum et eiusmodi rerum cupidum, cum quo colloqui poteris ut ecquid spei sit reliquum intelligamus» [Ed.].

8 Segue: «Pluribus postea, si commercium litterarium inter nos instituere liceat, de eiusmodi rebus agemus. Iterum vale» [Ed.].

9 Cfr. Carteggio, lettera XXIV [Ed.].

10 La lettera autografa dell’Athias ha la data di «Livorno, 25 febbraio 1726» [Ed.].

11 A questo punto la lettera dell’Athias continuava: «Ho differito il rispondere a V. S. illustrissima, perché attendevo la cassetta cogli esemplari dal sig. Mazzoni; la quale immediatamente ricevuta, ho apperto e mandato il suo pacchetto e lettera al signor dottor Giuseppe Averani di Pisa, e similmente pacchetto e lettera al signor abate Anton Maria Salvini, inviato col signor dottor Verzani, che di qui ripatriava in Firenze; e la lettera e pacchetto per il signor Isacco Newton ho consegnato al signor Biniamin Crow, ministro della nazione inglese in questo porto, letterato e predicatore eloquentissimo, il quale l’ha trasmesso in Londra con quatro manoscritti ebraici del decimo secolo, che io ho mandato al signor Conyers Middleton, bibliotecario ecc. in Oxfort, che è stato gli anni adietro in Roma e Napoli. Riservo il pacchetto e lettera del signor Clerico per fargliele recapitare» ecc. [Ed.].

12 Postilla intercalata dal Vico [Ed.].

13 Si veda la lettera diretta nel 1723 dal Vico al Leclerc e rimasta senza risposta, in questo volume, pp. 102-104, e l’annotazione che il Vico le fa seguire [Ed.].

14 La lettera originale reca la data del «3 gennaio 1727 m[ore] v[eneto]», che corrisponde al 1728 [Ed.].

15 Termina cosí nell’originale: «Io poi, quando non le sia grave il mio comercio, a lei ricorerò di tempo in tempo per trar lume e scioglier i miei dubbi nelle materie che m’occorresse; con che mi rassegno» ecc. Sul dorso il Vico annotò: «Prima richiesta dell’eccellentissimo signor abate Conti e proferta di piú magnifico carattere e richiesta di scrivervi io le note» [Ed.].

16 La lettera di Giovan Artico conte di Porcía, da Porcía 14 dicembre 1727, nella sua interezza è questa: «Finalmente ritrovo nel celebre lettore padre Lodoli minore osservante chi si prenderá la cura di far l'edizione col mio Progetto noto della Vita di V. S. illustrissima, cioè della storia de’ suoi studi, di cui Ella ebbe la bontá di favorirmi. Io m’era intestato di voler vincere l’avarizia de’ stampatori e di volerli obbligare con la mia ritrosia a distinguere l’opere di merito; e m’è finalmente la cosa venuta fatta a seconda del mio giusto divisamento. M’assicura il padre Lodoli (che col signor abate Conti riverisce V. S. illustrissima e l’uno e l’altro l’accertano della stima ben grande che fanno della di lei virtú) che ritroverá chi stamperá a proprie spese non solo l’accennate scritture, ma chi ristamperá la di lei ammirabile opera de’ Princípi in miglior forma dell'edizione di Napoli. Se V. S. illustrissima volesse aggiungere qualche cosa e all’opera de’ Princípi e all’altra sua scrittura, è in pienissima libertà di farlo, e può inviarmi le giunte e le correzioni per mezzo di codesto signor residente veneto insieme con le sue lettere, sulle quali avrá la bontá di far notare il ricapito in Venezia al padre Lodoli a San Francesco della Vigna, overo al signor abate conte Antonio Conti. Insomma V. S. illustrissima ha ora campo di poter dilatarsi specialmente nell’opera de’ Princípi, in cui gli uomini scienziati affermano di capire da essa molto di piú di quello si vede espresso e la considerano per un capo d’opera. Io me ne congratulo con V. S. illustrissima e l’assicuro che ne ho un piacere infinito, vedendo che finalmente produzioni di spirito, del nerbo e del fondo quali sono le sue, vengono a qualche ora conosciute, e che ad esse non manca fortuna, quando non mancano leggitori di discernimento e di mente. S’Ella avesse altra cosa di suo da pubblicare, me la spedisca, la supplico, per gloria sua e per profitto de’ letterati nostri. Mi comandi intanto senza riserbo alcuno, e creda che sono col maggior rispetto», ecc. Le parole spazieggiate indicano quelle sottolineate dallo stesso Vico nell’autografo della lettera [Ed.].

17 I «fini» dapprima erano sette, e i due tralasciati si riesce a leggere sotto te cancellature della minuta autografa: « il secondo per goderne esso segretamente co’suoi, che n’erano consapevoli »; « il settimo ed ultimo per non morire fabbricato, come merita, nelle carceri del Sant’Ufizio» [Ed.].

18 Qui seguiva nell’autografo un brano poi cancellato: « E per finirla di più stampare, il manoscritto di medicina che si è sopra riferito [si veda p. 37] e solo gii era rimasto, donò al signor don Francesco Carafa, principe di Colobrano, con la seguente dedica: Excellentissimo viro — Colubranensium principi — Francisco Caraffe — Musarum delicio — hoc — quod sibi erat reliquum — de re physica medica — manuscriptum— ne ulteriori librorum editione — suam infensam infestamque fortunam magis irritet — Iohannes Baptista Vicus — d. d. d. » [Ed.].

19 Seguono sotto fitte cancellature le parole: « Per tutte le quali male arti e molto più per lo genio del secolo, che vuole in brievissimo tempo e con pochissima fatiga sapere di tutto, egli nella sua patria... [parola illeggibile] riputato inetto (?) d’insegnare la gioventú» [Ed].

20 Dissertationem De nostri temporis studiorum ratione cum antiquorum collata, publice habitam in regia universitate neapolitana ac typis editam anno mdccix, in qua aliquot de horum librorum [De uno e De constantia] argumento sunt inchoata; inchoata inquam, quia nondum harum rerum principium, quod a multis iam ante annis vestigabam, inveneram [V.]. Le note latine segnate con questa iniziale sono del Vico stesso, apposte all'edizione che egli fece di questa e delle lettere ix, x, xii, xv, xvi e xvii nel De constantia iurisprudentis [Ed.].

21 Alludit ad eam dissertationis partem, qua proponebamus artem iuris imperatorii interpretandi ex aequitate civili ad nostri temporis monarchias accomodata, quam indicavi libro priore [De uno], cap. lxxxiii, et de ea arte specimen quoddam etiam dedimus: quam utilissimam probabat in primis clarus vir Henricus Brenckmannus, doctissimus iurisconsultus hollandensis, in sermonibus quos super ea re Florentiae, dum ibi medicaeum Pandectarum codicem recensebat, novis lectionem florentinam notis adornaturus, habuit cum claro viro Antonio Rinaldo neapolitano, viro ornatissimo ac disertissimo caussarum patrono [V.].

22 Ubi disserebamus ex reipublicae romanae instituto iurisprudentiam et oratoriam divisas esse, et siqui iurisconsulti in caussis orandis versarentur, ut tamen constarent, iuris civilis rigorem in iis caussis adversus naturalem aequitatem tuebantur. Et illustrissimo praefecto respondebam, Crassum Divitem incidisse in ea tempora, quibus, iam praevalida plebis parte, in regnandi artibus apud populum iam illa erat, de qua auctor Corruptae eloquentiae scribit: «Nemo Romae potens, quin eloquens». Sed nihil vetabat quin ipsum iuris rigorem facunde defenderent, ut Servius Sulpicius contra Muraenam praestitisse credibile est, quem eloquentissimum vel una illa incomparabilis ad Ciceronem consolatio testatur, quae omnium, quotquot usquam scriptae sunt, est absolutissimum exemplar [V.].

23 Huic honorificentissimae epistolae illustrissimi praefecti, multis et magnis nominibus de republica literaria optime meriti de nostra regia universitate cum maxime, de me autem humanitate et beneficentia praeter caeteros, tunc in praesentiarum respondi iis quae postea scripsi libro priore [De uno], cap. clxxi a principio usque ad § «Hinc aperiuntur». Sed viri omnis divinae et humanae eruditionis, rerum romanarum romanique iuris ad miraculum usque doctissimi, haec una appositio mihi ad principia iuris romani vestiganda iam mea sponte currenti stimulos pungentissimos addidit; et, dum de arcana iurisprudentia romana altius latiusque cogitarem, caussam illam tandem inveni, quam Aristoteles in Politicis disertissime quidem docet esse propriam reipublicae optimatium notam, custodiam legum: sed omnes, qui de re civili scripsere, eam custodiam putarunt esse qua vulgo leges in omni republica servandas curant. Sed enim, re ab origine repetita, inveni regna heroica fuisse regna optimatium, et romanum regnum fuisse heroicum, et sic custodiam legum; quam notam Aristoteles consignat optimatium, reipublicae comperi esse ipsissimum ius in latenti ius incertum, manum regiam Pomponii, quare libro priore [De uno], cap. clxvii, dicebam. Argumentum de iurisprudentia arcana romanorum non solum romanis rebus romanaeque iurisprudentiae, sed universae historiae universaeque eruditioni afferre luculentissimam lucem. Itaque huius lucubrationis bona et magna pars illustrissimo nostro regiae universitatis praefecto est accepto referenda; cuius oppositionum gravissima auctoritas ad haec omnia in hisce libris dissertanda magno mihi fuere incitamento [V.].

24 Hic nobili genere baro westphalus heic Neapoli multam sacrae doctrinae et linguarum eruditionis famam reliquit: cuius hasce literas paucis ante diebus, dum priores epistolas typis darem, per eam occasionem clarus Alphanus mihi legendas exhibuit. Quapropter eum rogavi ut meo nomine salutaret et gratias maximas ageret quod Synopsim sua censura cohonestarit [V.].

25 Ad reverendum Thomam Alphanum e sacra Praedicatorum familia, virum eruditissimum, qui nunc adornat collectionem Conciliorum, quae ab primis usque Ecclesiae temporibus in Regno neapolitano sunt habita; opus ecclesiasticae doctrinae lucem quamplurimam allaturum [V.].

26 Demonstratur libro i [De uno] a capite x usque ad caput xliii, et libro ii, parte i [De constantia philosophiae], capite iv et capitibus ix, x, xi, xii, xiii, xiv et xvi [V.].

27 Demonstratur tota ferme i parte libri ii [V.].

28 Vindicatur libro i, capite i, de duplici societate seu potius communione rerum, cum decem sequentibus, et capite lx, de duplici societate personarum sive rectius hominum, usque ad caput lxxxviii [V.].

29 Huic obiectioni satisfit libro i, capite clxviii, de characteribus heroicis, capite clix, de lingua heroica, capite clxx, de etymis heroicis; et libro ii, parte ii ferme universa [V.].

30 Rem acu, ut aiunt, tetigit clarus vir, quum et argumentum de lingua heroica probavit maxime et ab ea arcanas romanorum iurisconsultorum formulas trahere originem censuit; nam lingua heroica mihi caput fuit unde arcanam romanam iurisprudentiam accersivi. Et gratissimus est Taciti locus de literarum secretis inter Germanos; ut cum hac antiquissima quoque natione, praeter chaldaeos, aegyptios, hebraeos, graecos, druidas, ultimos usque scytas ac aethiopes et dissociatos sinenses, qui etiam nunc hanc heroica literaturam custodiunt, atque adeo cum primis gentibus omnibus in hunc heroicum morem convenisse romanos constet. Et ab hac lingua heroica potissimum ubique terrarum primum clientelas, deinde regna heroica sive antiquissima regna optimatium, quorum propria nota est apud ordinem custodia legum provenisse confecimus. Ut de hac lingua, de his regnis, qua ratione lyram Apollinis, Mercurii, Orphei, Amphionis, Lyni exposuimus, accipienda illa sit poëtarum locutio, qua lex «lyra regnorum» vocata est; et ex hoc regnorum genere romanum fuisse probavimus, quod in libertatem mutatum, hanc optimatium mixturam retinuit, ut, si non amplius ordo leges, actionum formulas saltem iurisconsulti principio omnes patricii haberent arcanas [V.].

31 Vir scientia sapientiaque summus ac proinde in sacra eloquentia, doctissimi cuiusque qui eum audierit iudicio, incomparabilis [V.].

32 Cuius oppositionibus, quas ad eruditissimum virum Franciscum Vallettam scripserat, ut illac ad me permearent, respondi libro ii, parte ii [De constantia philologiae], capite xxi, § «Ab hac eadem» et § «Quapropter» [V.].

33 Ad illustrissimum marchionem Rinuccinum, genere, humanitate et bonarum literarum ac literatorum virorum studio sane commendandum [V.].

34 Ad illustrissimum Paullum Matthiam Doriam, virum sublimis philosophi fama per universam ferme Europam satis ampliter pervagata [V.].

35 Cui, uti et amplissimis genuatibus patriciis, qui me eo suo praeclarissimo iudicio exornarunt, per ipsum clarum virum Paullum Doriam gratias egi magnas et heic habeo maximas [V.].

36 Vir summis praeditus literis, italicae poëseos laude antiquis cultioribus com‐, parandus et metaphysica scientia in primis clarus [V.].

37 In regiae universitatis neapolitanae numeris antecessor, iuris doctrina et eruditione consummatissimus [V.].

38 Cuius communionem in prima universae tractationis parte, libro i, p. 15, demonstratur esse «communionem veri, qua homo cum omnibus intelligentiis communicat». Unde eodem libro demonstratur capite xliv: «ius esse in natura» et capite sequenti: «Hominem esse natura socialem» [V.].

39 Quod iura sint ex genere rerum aeternarum supra corpus, quales Plato statuit ideas, libro i, capite clxxxv, § «Neque omnes», et libro ii, parte ii, capite xx [V.].

40 Quod aeterna stirps universi iuris sit Dei optimi maximi natura, posse, nosse, velle infinitum. Libro i, a capite ii [V.].

41 Quod omnes alii, praeter Deum, fines iuris sint media quibus hominem a se impulsum ad se circumagit Deus, ut per universam tractationem probatur [V.].

42 Quod historiam iuris universi philosophiae principiis fundarit, libro ii, parte ii [V.].

43 Quod a Deo ad Deum divinum iuris universi circulum descripserit, libro i, capite clvi et capite ultimo; lib. ii, parte ii, capite xvi et capite xx et capite xxix [V.].

44 Quod omnis auctoritatis humanae principium sit aseitas divina, libro i, capite xciii [V.].

45 Ob philologiam in genus scientiae redactam. Libro ii, parte ii [V.].

46 «Casanatense alla Minerva» (Postilla marginale del V.).

47 Minuta: «I... — omine felicissimo lucubratus — ... imperatorem — cui parem — nec sapientia unquam genere ipso descripsit — nec musae unquam laudarunt satis — ... — at Hercule si quandoque legerit», ecc. Nella stessa minuta il Vico aggiunse poi: «Il volume de’ duoi libri [De uno e De constantia] fu mandato a Sua Altezza serenissima con indietro al frontespizio questo comunicato scritto di mano dell’autore» [Ed.].

48 Risposta a questa lettera è quella inserita nell’Autobiografia, pp. 42-3 [Ed.].

49 La si veda in questo volume pp. 42-3, e cfr., nel presente Carteggio, lettera XXIV [Ed.].

50 «Lettera di Sua Eminenza Corsini con cui dice non poter proccurarmi un benefizio da potersi ordinare un mio figliuolo» [V.].

51 «Il padre Nicolò Concina, lettor primario di metafisica in Padova, mi fa quest’onore da me non meritato in un progetto latino, dato l’anno 1736 fuori in istampa, d’un sistema di diritto natural delle genti, il quale fu da me donato a monsignor cappellano maggiore» (Postilla del V.).

52 Il signor don Marcello Filomarino, delle amene e severe discipline ornatissimo, nipote di Ascanio, cardinale arcivescovo di Napoli [V.].

53 Il signor don Casimiro Rossi, che sta componendo in terza rima e con lo spirito di Dante un poema eroico propio delle cristiane repubbliche, intitolato Le persecuzioni dei cristiani [V.].

54 Il signor don Andrea di Luna d’Aragona, di cui s’allude alla nobilissima canzone, che aspettata giunse l’istesso giorno che si dava questo foglio alle stampe, onde si leggerá nel fine della raccolta [V.].

55 L’eccellentissima signora donna Carmela di Sangro de’ duchi di Casacalenda [V.].

56 L’eccellentissimo signor don Marino Caracciolo marchese di Santeramo, generale di battaglia [V.].

57 L’eccellentissimo signor don Giacomo Filomarino duca di Pierdifumo, nella gioventú capitano de’ cavalli [V.].

58 Per gli princípi della mitologia istorica ritrovati con la Scienza nuova d’intorno alla natura comune delle nazioni, si dimostra questa esser un’istoria delle antichissime genti eroiche, poiché tutte le storie profane, come chiunque vi rifletta facilmente può ravvisarlo, hanno favolosi i princípi, e da’ greci, i quali, per le cagioni che si meditano in quell’opera, conservarono le favole piú di tutte l’altre nazioni del mondo antico, tal serpente, che si divorava gli uomini, fu detto «Pitone», e ne fu appellato «pizio» Apollo, il quale l’uccise, ed era creduto dio della nobiltá [V.].